Ogni giorno il razzismo ci rende più schiavi. Sia esso propagandato da Salvini o da chiunque altro, ci frega. Ci incatena a una misera esistenza di poveri che se la prendono con i più poveri. Ogni pregiudizio, ogni discorso da bar sull’argomento è sapientemente indotto e basato su notizie approssimative, mezze verità o vere e proprie menzogne.Tutto ciò che tv, radio, giornali e politici di turno ci raccontano sugli immigrati è falso.Tutto quello che sai sull’immigrazione è falso. Gli immigrati sono parte della nostra stessa classe sociale: come noi cercano lavoro, di sopravvivere, di sostentare la propria famiglia. Le condizioni peggiori di partenza li rendono ancora più isolati, sfruttati, preda della microcriminalità o disponibili a salari più bassi. E tutti i pregiudizi nei loro confronti sono funzionali a non farci lottare con loro per condizioni di vita migliori e a non strappare la ricchezza a chi la detiene.

In questo testo, smonteremo uno a uno tutti i luoghi comuni sul tema immigrazione. Immigrati, rifugiati, clandestini. Parole diverse che nella percezione comune fanno pensare a folle di persone che invadono i nostri territori e ci prendono spazi, lavoro, servizi…e a volte anche le donne (o i mariti). Per chi ha simpatie di estrema destra sono una pericolosa minaccia alla nostra cultura, la nostra proprietà, la nostra incolumità fisica. Sono soggetti da rispedire a casa loro senza esitazione.

Per chi è mosso da uno sguardo più buonista, invece, è necessario essere tolleranti e caritatevoli. Ma la tolleranza presuppone la capacità di sopportare. E la sopportazione ha sempre un limite. E la carità implica sempre un rapporto di assistenza da un soggetto superiore a uno inferiore. C’è poi chi si sforza di dimostrare che l’immigrato possa essere un’opportunità economica (fanno lavori che noi non vogliamo fare, ci pagano i contributi….).

Per tutti, comunque, l’immigrato è un problema da risolvere o da gestire all’interno del sistema dato. Queste posizioni non fanno che riflettere, anche se in modo diverso, il punto di vista dominante sulla questione, basato sul capitalismo e sulla necessità di adattare la vita dell’uomo alle esigenze del mercato.

Un punto di vista che accomuna gli schieramenti di destra e di centro sinistra. E che trova riscontro nelle politiche internazionali, nazionali e locali. Tutte simili tra loro e tutte incentrate, in modo più o meno xenofobo, sul problema “sicurezza”.

Proprio invece l’immigrazione, generata da guerra, povertà e imperialismo, pone il tema della necessità di cambiare l’intero sistema, di lottare perchè la produzione di ricchezza sia finalizzata a soddisfare i bisogni dell’uomo, ad abbattere la povertà, a dare ad ogni essere umano un futuro e una vita degna di essere vissuta.

Chi sono gli immigrati, da dove arrivano

Fuggire, partire e spostarsi sono delle “strategie di sopravvivenza” che l’uomo si è dato, da sempre, per scappare da guerre, persecuzioni, fame e povertà. Da tutto ciò, insomma, che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza.

In base al luogo di provenienza e alle cause che portano a lasciare il proprio paese, gli immigrati arrivano via terra, via cielo o via mare.

La stragrande maggioranza delle persone che arrivano in Europa via mare sono disposte ad affrontare i pericoli del viaggio in barconi improbabili, stipati in stive asfissianti perché, banalmente, la possibilità di perdere la vita rimanendo nel proprio paese è più alta che quella di perderla su una bagnarola in mezzo al Mediterraneo.

Più della metà degli sbarchi verso l’Europa provengono dalla Siria o dall’Afganistan, mentre tra i primi 10 paesi troviamo anche Eritrea, Somalia, Nigeria, Libia, Iraq…tutte zone lacerate e distrutte da anni e anni di guerre sanguinose.

Guerre generate dai paesi “ricchi”: gli stessi che poi si lamentano dell’emergenza immigrazione.

I diversi imperialismi (Usa, Russia, Europa….) si scontrano sullo scacchiere mondiale ora con l’intervento armato diretto, ora con la fornitura di armi o con l’appoggio a questa dittatura, a questo o quel gruppo o governo. Si combattono per il controllo su un punto geograficamente strategico, di un giacimento di petrolio, di un trattamento di favore per la fornitura di energia, di un’apertura commerciale alle proprie imprese.

Il risultato è che nel 2014 i rifugiati nel mondo sono stati quasi 60 milioni, 20 milioni in più di 10 anni fa. La metà sono bambini. La stragrande maggioranza, però, non arriva in Europa, ma si rifugia nei paesi limitrofi a quelli di fuga. Soltanto il 10% dei rifugiati raggiunge il vecchio continente. E non sempre ottiene asilo: il numero dei respingimenti delle richieste d’asilo è in aumento. Soltanto in Italia, nel 2015 sono state respinte il 58% delle richieste di asilo.

Ma anche in Italia la parte prevalente degli emigrati non arriva sui barconi, ma via terra o via cielo.

Lavoro, permesso di soggiorno, flussi

Le legislazioni dei paesi occidentali fanno una netta divisione tra rifugiati e migranti “economici”. Cioè, tra chi emigra per necessità e chi “per scelta”. Una distinzione che respingiamo. Una divisione che cerca di fare passare l’idea del migrante buono e di quello cattivo e che non tiene conto del complesso di cause che porta un soggetto a emigrare: cause che spesso si presentano in contemporanea. Il modo con cui verrà infine classificato il singolo migrante (“rifugiato”, “regolare” o “clandestino”), più che dalla situazione oggettiva di partenza, verrà stabilito dalla valutazione che prevarrà, e che avrà come principale causa le politiche specifiche dei paesi di arrivo: la stessa persona potrà ritrovarsi ad essere l’una o l’altra cosa, in base allo Stato in cui giunge.

In Italia le migrazioni “di tipo economico” vengono regolate dalla legge Bossi Fini del 2002, che riprende in larga parte la precedente legge varata dal governo di centro sinistra, la Turco-Napolitano del 1998. La legislazione è molto restrittiva, e stabilisce che può entrare in Italia solo chi ha già un contratto di lavoro che gli garantisca il mantenimento economico. Un immigrato con regolare contratto di lavoro, entrato nel paese, ha poi 8 giorni di tempo per richiedere il permesso di soggiorno, che avrà una durata uguale al contratto di lavoro, fino ad un massimo di 2 anni (per i contratti a tempo indeterminato). Concluso il rapporto di lavoro, viene concesso un anno di tempo per trovarne uno nuovo prima di diventare irregolari.

E’ evidente che un simile sistema di regole, che rendono difficilissimo l’ottenimento di un permesso, produce per forza di cose un gran numero di immigrati clandestini.

Siamo quindi al paradosso: per avere un lavoro devi avere il permesso di soggiorno, per avere il permesso di soggiorno devi avere il lavoro. Se perdi il lavoro, inoltre, finisci anche per perdere il permesso di soggiorno. Il risultato è una maggiore ricattabilità del lavoratore migrante e la creazione di un mercato per cui sono gli stessi lavoratori immigrati a pagare i contributi al proprio datore di lavoro pur di continuare a figurare come occupati.

Clandestini, stranieri, realtà e propaganda

I “clandestini”, quindi, sono tutti coloro che, entrati nel paese, non hanno ottenuto asilo, né regolare permesso di soggiorno, o hanno perso i requisiti necessari a mantenere il permesso. La clandestinità per l’ordinamento italiano è un vero e proprio reato. La legge stabilisce l’espulsione immediata, o, in attesa di identificazione, il trasferimento in uno dei CIE, i centri di identificazione ed espulsione (gli ex CPT) .

I cittadini stranieri in Italia sono circa 5 milioni e mezzo, l’8% della popolazione totale. Di questo numero fanno parte non solo gli immigrati che non hanno raggiunto i 10 anni di permanenza nel nostro paese, ma anche tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri. In Italia vige lo “Ius sanguinis”, quindi nascervi non da’ automaticamente il diritto ad ottenere la cittadinanza. Questa può essere richiesta, nel caso dei figli di cittadini stranieri continuativamente residenti in Italia, solo al compimento dei 18 anni. Nel totale della popolazione straniera, quindi, si contano anche ragazzi nati, cresciuti e scolarizzati in Italia, parlanti la lingua italiana. L’assenza di uno “Ius soli”, cioè del diritto ad acquisire la nazionalità del paese dove si è nati, è un’aberrazione che rende la nazionalità un concetto ereditario: da genitori extracomunitari nascono bambini extracomunitari.

Si calcola che i clandestini siano appena il 9% del totale degli immigrati. La percezione della presenza di immigrati e irregolari, stando a un recente sondaggio, è molto distorta. Il 90% degli italiani sovrastima la presenza straniera e dichiara che i clandestini siano il 30% del totale dei migranti, in una vera e propria invasione via mare.[1]

In realtà, il numero di sbarchi in Italia è diminuito nel 2015, a favore di un esponenziale aumento di arrivi sulle isole della Grecia (solo nel 2015 più di 800.000 persone). Anche il totale degli immigrati che arrivano nel nostro paese sta diminuendo. Al contrario, gli italiani che emigrano per esigenze economiche, in cerca di lavoro, sono esponenzialmente aumentati, tanto da superare gli ingressi verso l’Italia.

Le principali bufale sugli immigrati

I discorsi che sentiamo in giro, da quelli più apertamente razzisti fino ai classici “io non sono razzista però…” partono sempre dal presupposto che gli immigrati abbiano accesso garantito ai servizi, case popolari, posti al nido o cure mediche. E tendono a collegare l’immigrato irregolare con l’aumento della criminalità.

Chi appartiene agli strati popolari della società sa perfettamente che vedersi concessa una casa popolare è quasi un miraggio. Trovare un appuntamento per un esame specialistico è come vincere un terno al lotto. E che non è affatto semplice ottenere un posto al nido per il proprio figlio. Tutti sanno che perdere un lavoro è facile, ritrovarlo difficilissimo. Ogni volta che apriamo un giornale, c’è poi una nuova notizia di cronaca nera che coinvolge qualche straniero.

Ma sono davvero gli immigrati la causa? Sfatiamo qua solo alcuni tra i luoghi comuni più diffusi. C’è chi ama ripetere “possono rimanere solo quelli che vengono qua per rispettare la legge”. Il che presuppone che ci sia una categoria di immigrati che parte deliberatamente dal proprio territorio, abbandonando famiglia e rischiando la vita con il proposito di diventare delinquente in Italia. Denunce, detenzioni e segnalazioni a carico degli immigrati sono in calo, nonostante l’aumento della popolazione straniera. Una buona percentuale (17%) è in carcere per il “reato” di immigrazione clandestina, la stragrande maggioranza per reati minori, che presuppongono quindi pene brevi. Ma nonostante ciò, rispetto ai detenuti italiani, è molto più difficile che ottengano custodia cautelare o riduzione della pena. Non solo: la propensione a violare la legge è strettamente legata alla condizione di irregolarità. Un clandestino può vivere solo attraverso attività illecite, dato che la sua stessa presenza non è ammessa. Non è un caso che il 90% degli stranieri detenuti siano irregolari.[2]

E’ qui evidente che le attuali condizioni legislative e economiche spingono prepotentemente gli immigrati verso uno stato di cosiddetta illegalità.

C’è poi la convinzione che “le case popolari vanno sempre agli immigrati”. La verità è che le case popolari sono poche, pochissime. Coprono solo alcune situazioni di disagio estremo, tra cui troviamo spesso le famiglie immigrate. Queste ultime, nella misura in cui hanno superato ogni tipo di ostacolo (la lingua, la regolarizzazione, il lavoro, conoscere il bando) sono contribuenti che accedono allo stato sociale. Pretendere che non possano farlo solo perché sono stranieri, rivendicare che a parità di condizioni sociali ed economiche ci sia “il primato degli italiani”, significa invocare le leggi razziali. Le graduatorie per le case popolari, così come quelle per gli asili nido, danno un punteggio che aumenta con la difficoltà economica, abitativa e sociale. Ma il meccanismo razzista si riflette anche nei bandi per l’assegnazione degli alloggi popolari, dove riscontriamo criteri sempre più restrittivi per gli immigrati. Nell’ultimo bando, ad esempio, il comune di Padova attribuiva un punteggio più alto per i residenti sul territorio comunale da più di 15 anni. Il comune di Firenze, invece, stabiliva l’accesso agli immigrati in graduatoria solo se titolari di un permesso di soggiorno di durata almeno biennale, e che dimostrassero di lavorare a livello subordinato oppure autonomo.[3]

Nonostante ciò, il disagio della maggioranza delle famiglie dei migranti è tale da manifestarsi pienamente nel grande numero di richieste. Se prendiamo ancora l’esempio di Firenze, la percentuale di stranieri nel comune era, nel 2012, quasi il 15%. Lo stesso anno, la loro domanda di alloggi popolari superavano il 50% del totale. Ma, nonostante questo, non sono stati gli stranieri ad ottenere la maggioranza delle case popolari. Analizzando altre città troviamo situazioni che confermano questo quadro In provincia di Torino, le famiglie assegnatarie di casa popolare tra il 2010 e il 2014 sono state circa 4000. Di queste, solo il 29% erano famiglie straniere. In tutto, le domande insoddisfatte sono state più di 5000.[4] Uno studio dell’Osservatorio provinciale delle immigrazioni a Bologna affermava che “a vedersi assegnare un alloggio, sono più spesso gli italiani rispetto agli stranieri, con il rapporto di 1 a 5 per le famiglie italiane e 1 a 10 fra gli stranieri che ne fanno richiesta”. Infine, un’inchiesta di “Mixa Magazine” sul comune di Milano verificava come, nel 2010, la maggioranza delle richieste di alloggi popolari provenisse da immigrati. A questi, però, ne sono state assegnate solo il 30%.

Tutti questi dati rendono evidente come il problema, quindi, non è la presenza di immigranti, ma la scarsità di edilizia popolare. In Italia, solo il 15% di tutte le richieste di una casa popolare viene soddisfatto. Per tutti gli altri non rimane che affrontare affitti esosi o sfratti per morosità.

Per gli immigrati, inoltre, il meccanismo razzista fa sì che trovare un’abitazione diventi ancora più difficile. Spesso devono accettare le case più fatiscenti, con affitti in nero o prezzi mediamente più alti. Uno studio del Sunia[5] di alcuni anni fa rivelava come gli immigrati pagassero dei canoni di affitto maggiorati del 30-50% rispetto a quelli ordinari. L’80% dei contratti di affitto erano irregolari e una percentuale simile di alloggi risultava sovraffollata e in coabitazione tra più famiglie.

In queste condizioni, è evidente perché siano molti gli immigrati che finiscono per partecipare a occupazioni abitative. E anche solo per questo banale gesto di sopravvivenza vengono catalogati come “delinquenti”. La propaganda xenofoba non fa altro che rovesciare la realtà, facendo apparire l’immigrato come il responsabile del peggioramento delle nostre condizioni di vita. Ma la verità sta da un’altra parte.

Gli stranieri in Italia versano molto di più di quanto ricevono. La spesa pubblica per l’immigrazione (scuola, sanità, integrazione, previdenza, lotta all’irregolarità, spese di accoglienza ecc..) è molto inferiore alle entrate provenienti dagli stranieri in forma di tasse, imposte e contributi (tra i quali figurano tasse ad hoc sui migranti, come quella sul permesso di soggiorno).[6] La popolazione immigrata è giovane, e quindi incide poco sulle voci di spesa principali come le pensioni e la sanità.

Inoltre, è formata soprattutto da salariati che non possono permettersi di non stare in attività, dal momento che il permesso di soggiorno è legato a un contratto di lavoro. Il 75% degli stranieri è sotto i 45 anni, il 70% dei lavoratori ha un impiego operaio.

Gli immigrati sono presentati come “ladri” del nostro stato sociale quando invece subiscono un furto legalizzato: versano contributi che perdono se tornano nel loro paese di origine. Versano contributi per pensioni che non riceveranno probabilmente mai.

Non è un caso che uno dei maggiori istituti di credito europei, la banca svizzera UBS, ha prodotto uno studio in cui invita a risolvere la crisi economica europea raddoppiando il numero di immigrati come strumento per risolvere il problema dei bilanci dei governi europei e per avere una mano d’opera più produttiva (in altre parole più ricattabile). Gli immigrati fanno i lavori meno retribuiti e più precari. Sono più frequentemente sotto-qualificati, svolgono cioè mansioni molto inferiori rispetto al titolo di studio posseduto. Sono occupati in settori quali l’edilizia, l’industria (nella logistica), in servizi di cura (badanti e pulizie), l’agricoltura, ed emarginati in professioni di scarso livello. E’ stato calcolato che “mediamente dovrebbero lavorare 80 giorni in più per avere la stessa retribuzione degli italiani”.[7]

Infine, la crisi economica ha colpito gli stranieri in maniera ancora più forte, aumentando il divario tra i rispettivi tassi di disoccupazione: il 17,3 per gli stranieri, l’11,5 % per gli italiani.[8]

Quindi, torniamo su quanto abbiamo già detto: gli immigrati sono solo l’ultimo anello della catena dello sfruttamento. La stragrande maggioranza di loro sono parte della nostra classe sociale, di quella classe, cioè, che può vivere solo vendendo il proprio tempo e la propria fatica in cambio di un salario. Sono la parte su cui il capitale esercita un dominio ancora più completo e selvaggio.

Sfruttati a 360°, il business dell’accoglienza

Gli immigrati sono sfruttati a 360°: come contribuenti, perché danno molto più di quanto ricevono, come lavoratori regolari perché pagati mediamente meno, come lavoratori a nero, perché veri e propri schiavi, nel mercato degli affitti e della casa perché devono pagare di più per accedere alle   stesse condizioni abitative. Sono usati come “caso politico” da portare all’opinione pubblica per distrarci dalle vere cause della crisi economica. E come se non bastasse: sono sfruttati anche come rifugiati e come clandestini. L’indagine “mafia capitale” ha da poco scoperchiato la connivenza tra politica, interessi economici e mafia nella gestione degli immigrati.

I richiedenti asilo, in attesa dell’esito della loro richiesta, vengono smistati in appositi centri accoglienza (Cara, CdA, Sprar…). I centri per richiedenti asilo sono strutture pubbliche o private, sempre però gestite da enti privati, generalmente dopo gara d’appalto al massimo ribasso. Queste società, Misericordie, Cooperative, Croce Rossa, enti nati ad hoc, aggiudicatosi l’appalto, ricevono da 30 euro in su, in base all’appalto, per ogni persona ospitata. Questi soldi, quindi, non vanno agli immigrati, come urla la propaganda xenofoba – “prendono 40 euro al giorno per non fare nulla!!” – ma vengono trattenuti dall’ente gestore. Spesso si tratta di vere e proprie sovvenzioni mascherate, date alle strutture turistiche in crisi.

In teoria questi soldi dovrebbero essere usati per garantire i servizi minimi: pasti, lavanderia, gestione del locale, pulizie. Di questo denaro, ogni singolo richiedente asilo dovrebbe ricevere il così detto “pocket money”, circa 2,5 € al giorno necessari per tutte le spese personali. Ogni centro è adibito ad un numero massimo di accoglienze, e le risposte sulla richiesta di asilo dovrebbe arrivare entro 35 giorni.

Questa è la teoria. La pratica è tutt’altra.

L’attesa si protrae a volte fino a due anni. Due anni in cui queste persone non possono lavorare, ma solo attendere una risposta nelle strutture adibite a centri accoglienza. Strutture sovraffollate, sotto personale, lontane dai centri abitati, che somigliano più a centri detentivi che di accoglienza. Basta un calcolo elementare per capire come un ente privato possa fare profitto da un simile sistema. Se ospito il doppio delle persone e abbasso i costi riducendo il personale adibito, non offrendo i servizi adeguati, magari senza neppure pagare il pocket money, ecco fatto l’affare.

Durante questo periodo, gli immigrati sono “nulla facenti” perché privi di documenti, e versano in uno stato di tutela che li priva di qualsiasi diritto. Sono prigionieri di fatto, anche se fisicamente non sono in un carcere.

Sono invece veri e propri internati in un lager quando finiscono nei cosiddetti Cie: i centri per l’ identificazione e l’espulsione dei clandestini, definiti da alcune inchieste i “Cie della vergogna” per il trattamento disumano riservato a chi vi è rinchiuso, per la fatiscenza delle strutture, per i costi esosi per lo Stato, che vanno tutti nelle tasche degli enti gestori. Basti infine citare la frase estrapolata dalle intercettazioni dell’indagine Mafia Capitale: “Ma tu sai quanto ci guadagno sui migranti? C’hai idea? Il traffico di droga rende meno”.

Guerra al sistema, non ai più poveri

Arriviamo in fondo al punto che ci distingue da qualsiasi proposta in campo. Il clandestino, l’immigrato, il rifugiato è tale per uno stato di necessità a cui viene ridotta parte della popolazione mondiale dallo stesso sistema capitalista.

Da questo stato di necessità non è possibile uscire fino a che l’intero sistema non sarà sostituito da una società dove l’economia non sia in mano al grande capitale e dove la produzione sia destinata a soddisfare i bisogni della popolazione mondiale. I capitali si muovono liberi per il mondo, mentre gli uomini devono sopportare la schiavitù delle frontiere.

Chiedere leggi più restrittive, chiudere le frontiere, significa semplicemente rendere questo stato di necessità ancora più cocente. Significa spingere chi è in difficoltà ancora di più sul fondo, rendendolo disponibile o incapace di opporsi a soprusi e sfruttamento, o a rischiare la propria vita. La classe operaia dei paesi più avanzati, accettando le logiche securitarie e razziste, si condanna a subire la concorrenza dei disoccupati degli altri paesi: gli immigrati giungeranno comunque ma in condizioni di maggiore difficoltà e sfruttamento, saranno disponibili ad accettare condizioni lavorative sempre peggiori.

Per questo, se accettiamo lo sfruttamento sui migranti accettiamo lo sfruttamento su noi stessi. Se accettiamo e non combattiamo le logiche razziste, stiamo solo facendo male a noi stessi in una

controproducente guerra tra poveri. Gli immigrati subiscono i tagli al sistema sociale, la mancanza di casa, lavoro, servizi, le vessazioni sul lavoro, la povertà, come e ancora più di noi. Hanno gli stessi problemi. Hanno gli stessi interessi. Hanno lo stesso nemico.

Le nostre rivendicazioni

Preso atto che l’immigrazione è generata dal sistema e non dalla volontà del singolo immigrato, mentre lottiamo per la modifica complessiva di questo sistema, rivendichiamo:

–   La fine di qualsiasi taglio allo stato sociale, che deve essere invece riconquistato e ampliato.

– Non lottiamo perché ci siano case “prima agli italiani”, ma perché ci siano case per tutti. Non vogliamo che ci siano leggi razziali che diano agli italiani “il primato”, ma perché asili, scuola pubblica, sanità pubblica, siano finanziate e garantite per tutti. I soldi per fare questo ci sono: basta strappare la ricchezza sociale alle Banche, alle grandi multinazionali, all’1% della popolazione mondiale, per utilizzarla a favore della stragrande maggioranza di noi.

– L’abolizione delle leggi restrittive dei flussi migratori, come la Bossi-Fini. Questi flussi sono inarrestabili. Creare muri o barriere legali all’arrivo degli immigrati serve solo a trasformarli in clandestini. Non è un caso che le leggi più restrittive siano anche le più disapplicate. Rivendichiamo l’abolizione del permesso di soggiorno e l’apertura delle frontiere perchè respingiamo la logica che vorrebbe l’immigrato solo come lavoratore in produzione, mai come persona con le sue necessità sociali. In altri termini, chiediamo che l’immigrato acquisisca diritti in quanto persona, non in quanto forza-lavoro.

– Siamo, infine, contro ogni paternalismo. Un conto sono le emergenze, durante le quali è necessario attivarsi per dare aiuti immediati. La solidarietà generata da avvenimenti come il blocco dei migranti a Ventimiglia, o dai drammatici sbarchi a Lampedusa, o dalla situazione a Idomeni è necessaria, oltre che positiva. Spesso in queste situazioni creare convogli di aiuti è anche l’unica via con cui aprirsi un varco militante. Un altro conto però è l’introiettare una logica caritatevole, tipica di enti quali la Caristas. Siamo contro la logica della carità perché essa presuppone uno stato di inferiorità dei migranti, che loro per primi rigettano. La carità è una forma di tutela, sicuramente più umana, ma pur sempre una forma di tutela di un soggetto a cui non è data la possibilità di emanciparsi.

Non “assistiti”, ma compagni di lotta

Ritroviamo invece la presenza degli immigrati in ogni processo di avanzamento sociale.

Ciò è vero oggi, qua, in Italia, in Europa, come è stato vero per tutti i fenomeni migratori di massa. Prima o poi, gli immigrati fanno irruzione nella storia, e diventano protagonisti nei processi di costruzione delle organizzazioni dei lavoratori, e di lotta contro lo sfruttamento. E’ stato così per gli immigrati italiani negli Stati Uniti a inizio novecento. In Italia lo abbiamo visto in alcuni significativi esempi di lotta sindacale come quello dei lavoratori della logistica. Lo vedremo ancora, e sempre in misura maggiore.

Per noi combattere il razzismo quindi non è un puro atto di civiltà, ma una necessità di classe. E’ funzionale a favorire l’unità della lotta dei lavoratori. Per questo consideriamo inaccettabile la tolleranza, che spesso abbiamo visto in ambienti sindacali, verso i pregiudizi contro gli immigrati.

Ogni attivista o delegato sindacale dovrebbe essere implacabile nel far notare che sostenere idee razziste equivale a indebolire la capacità di mobilitazione dei lavoratori.

Sappiamo che non sarà una manciata di dati a sconfiggere il razzismo. Esso è connaturato nel capitalismo, in una società dove viene fatto tutto il possibile per dividere i lavoratori e metterli in guerra gli uni contro gli altri. Sappiamo anche che al momento opportuno lo scontro tra le classi getterà in secondo piano ogni forma di razzismo.

Tuttavia questo avverrà con tanta più facilità, quanto i settori più avanzati di lavoratori, studenti, disoccupati saranno dotati degli argomenti e dell’analisi corretta con cui vaccinare la nostra classe dal veleno razzista. E in questo senso va la nostra azione e questo nostro contributo.


[1] Sondaggio Ipsos effettuato nel 2014.

[2] Rapporto “Politica migratoria, immigrazione illegale e criminalità” della Fondazione De Benedetti (2013)

[3] http://immigrazione.it/docs/2015/rapp-immigrazione-firenze.pdf

[4] https://www.to.camcom.it/sites/default/files/studi-statistica-biblioteca/osservatorio_stranieri_2014_abstract.pdf

[5] http://www.sunia.it/documents/10157/498f2546-06ed-4f69-902a-3e0154c6a9e8

[6] http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2015/01/sintesi-libro-12-02-15.pdf

[7] Ibidem

[8] http://noi-italia.istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pi1%5Bid_pagina%5D=32

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